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Mani che lavorano: quando la professione logora la salute

La mano non è progettata per svolgere lo stesso gesto per otto o più ore al giorno. Eppure, è ciò che accade in molte professioni manuali. Il risultato è un sovraccarico funzionale che, nel tempo, può interessare qualunque struttura: tendini, muscoli, articolazioni e nervi.

Siamo abituati a considerare il lavoro come una fonte di realizzazione personale, sicurezza economica e, talvolta, come un elemento centrale della nostra identità. Ma raramente riflettiamo sul prezzo che alcune professioni possono imporre al nostro corpo, soprattutto quando certi gesti si ripetono giorno dopo giorno, per anni. Tra le strutture più sollecitate c’è la mano: uno strumento straordinario, complesso e preciso, che ci accompagna instancabilmente in ogni attività quotidiana. Ma anche la macchina più efficiente ha dei limiti e, quando il carico funzionale supera la soglia di tolleranza, il rischio di danni diventa concreto.

Non servono lavori “pesanti” per danneggiare le mani. A volte, è proprio la ripetizione di movimenti apparentemente leggeri – ma costanti, controllati, minuziosi – a causare i maggiori problemi. Parrucchieri, artigiani, sarti, estetisti, operai specializzati, falegnami, odontotecnici, musicisti e persino chirurghi: professioni diverse tra loro, ma accomunate da un uso intensivo e prolungato delle mani. E con il tempo, questo utilizzo può trasformarsi in un fattore di rischio per l’insorgenza di patologie articolari, tendinee o muscolari, compromettendo non solo la salute, ma anche la capacità di continuare a svolgere il proprio lavoro.

Approfondiamo l’argomento con il dottor Giorgio Matteo Berto, responsabile del Centro di Chirurgia e terapia della Mano di Humanitas Gradenigo di Torino.

Quali professioni sono più esposte ai disturbi della mano?

Le professioni più a rischio sono quelle che richiedono movimenti delicati, raffinati e controllati, ma incessanti. Immaginiamo la mano di un parrucchiere che regge forbici e spazzole per otto ore al giorno, sei giorni alla settimana, per trent’anni. Pensiamo a un’estetista, che maneggia lime e pinzette con gesti precisi e ripetuti, oppure a un odontotecnico, che modella protesi con gesti minuscoli ma carichi di tensione muscolare. Anche il chirurgo è esposto: deve mantenere una presa ferma, precisa, in posizioni spesso biomeccanicamente sfavorevoli, per periodi prolungati.

In tutti questi casi, la ripetizione è la vera trappola. Il nostro corpo – anche se straordinariamente adattabile – non è progettato per ripetere lo stesso gesto centinaia di volte al giorno, per decenni. Alla lunga, anche le mani più robuste finiscono per cedere. Non esiste un’unica struttura coinvolta: l’usura si distribuisce, si accumula e si manifesta in zone diverse a seconda del tipo di attività svolta.

Perché i tendini sono tra le prime vittime?

Il primo segnale di allarme arriva spesso dai tendini, quelle robuste strutture che collegano i muscoli alle ossa e che, in condizioni di stress continuo, possono infiammarsi. Le tendiniti sono patologie note e temute tra i lavoratori manuali, ma sono solamente la punta dell’iceberg. La tenosinovite di De Quervain, ad esempio, colpisce il pollice e il lato radiale del polso ed è comune tra chi usa frequentemente il movimento di presa o torsione. Ancora più diffuso è il cosiddetto “dito a scatto”, una condizione dove il tendine, gonfio e infiammato, non riesce più a scorrere agevolmente nella sua guaina. Il dito resta bloccato in flessione e poi scatta bruscamente quando si forza il movimento: un piccolo trauma quotidiano che, ripetuto, diventa invalidante.

Ma non ci sono solamente le mani in gioco. Anche l’avambraccio – sede dei muscoli che governano molte delle funzioni della mano – paga un prezzo. L’epicondilite laterale, nota ai più come “gomito del tennista”, è un disturbo molto comune tra le casalinghe e gli artigiani. Il dolore inizia come un semplice fastidio al gomito e si trasforma in un ostacolo per ogni gesto: aprire una porta, sollevare una busta della spesa, impugnare un attrezzo. È la conseguenza diretta di un sovraccarico muscolare che si è trasformato in infiammazione cronica.

L’artrosi è solo colpa dell’età?

È facile attribuire all’età ogni dolore articolare. E in parte è vero: l’artrosi rappresenta una degenerazione naturale, un lento consumo della cartilagine articolare che accompagna l’invecchiamento. Ma c’è un dettaglio fondamentale che spesso si sottovaluta. Alcune attività possono accelerare notevolmente questo processo.

Un esempio emblematico è quello dell’articolazione trapezio-metacarpale, situata alla base del pollice. È lì che si concentra la forza necessaria per afferrare oggetti, scrivere, tagliare, manipolare utensili. Non sorprende quindi che l’artrosi di questa articolazione sia particolarmente frequente tra chi svolge lavori manuali di precisione. Le donne, in particolare, sembrano più vulnerabili, con casi che possono insorgere già intorno ai 40 anni. Quando la cartilagine inizia a consumarsi, il pollice perde stabilità, il dolore si fa costante, i movimenti diventano rigidi. Un sarto, ad esempio, che usa la pinza pollice-indice per cucire ogni giorno, può sviluppare segni artrosici in anticipo rispetto a chi lavora in ambito amministrativo. Il problema non è solo la comparsa della patologia, ma anche la qualità di vita che viene compromessa.

Come si può prevenire l’usura della mano?

Prevenire non significa rinunciare al proprio mestiere, ma lavorare in modo più consapevole. Alcune grandi aziende hanno fatto scuola in questo campo: in realtà industriali complesse, i medici del lavoro collaborano attivamente con ingegneri e operai per studiare i gesti ripetitivi e progettare strumenti più ergonomici. Una modifica nell’impugnatura, una variazione nella postura, persino una diversa altezza del banco di lavoro possono ridurre drasticamente lo stress articolare. Ma questo tipo di approccio resta, purtroppo, ancora raro fuori dal mondo aziendale.

Molti professionisti, soprattutto se autonomi, non hanno accesso a consulenze ergonomiche né alle risorse per cambiare la propria attrezzatura. E allora? Qui entra in gioco la responsabilità individuale. Una delle strategie più semplici ma efficaci è l’introduzione di pause frequenti durante l’attività. Bastano pochi minuti ogni ora per “interrompere il ciclo”, ossia per dare al sistema muscolo-tendineo il tempo di recuperare. In altri casi, l’utilizzo notturno di tutori personalizzati può aiutare a scaricare l’articolazione, riducendo dolore e infiammazione. Il primo passo, però, resta sempre l’ascolto del corpo: se un dolore si ripete, se compare rigidità mattutina o debolezza, è il momento di rivolgersi a uno specialista.

Quali rimedi funzionano davvero?

Nel tentativo di trovare sollievo, è naturale cercare rimedi casalinghi. Alcuni sono supportati da basi scientifiche: ad esempio, l’applicazione del freddo – sotto forma di ghiaccio o impacchi – può essere utile nelle fasi acute infiammatorie per ridurre il gonfiore. Al contrario, nei casi di artrosi, il calore – attraverso impacchi caldi o fanghi – può alleviare la rigidità e migliorare il comfort articolare. Ma non tutti i rimedi popolari hanno efficacia comprovata e alcuni rischiano di mascherare sintomi importanti, ritardando una diagnosi corretta.

È comune, ad esempio, trovare persone che si affidano a soluzioni “tramandate”: unguenti, impacchi a base di erbe, esercizi suggeriti da conoscenti. Se questi approcci non fanno male, possono essere tollerati come supporti emotivi. Ma è fondamentale affiancarli a una valutazione clinica quando il dolore persiste. In caso di sospetta patologia articolare o tendinea, i chirurghi della mano possono prescrivere esami mirati – radiografie, ecografie, risonanze – o indirizzare verso trattamenti più strutturati, dalla terapia manuale all’infiltrazione con cortisonici o acido ialuronico.

Il vero rimedio, però, è il più semplice: il riposo funzionale. Una pausa, un tutore notturno, una modifica intelligente nella postura o negli strumenti possono fare la differenza tra una mano usurata e una mano salva. In un mondo che richiede sempre di fare, il gesto più rivoluzionario può essere proprio quello di fermarsi.

Dove trovare aiuto?

Quando il dolore diventa un compagno costante e la funzionalità della mano inizia a ridursi, affidarsi a un centro specialistico può fare davvero la differenza. A Torino, il Centro di Chirurgia e terapia della Mano dell’Ospedale Humanitas Gradenigo rappresenta un punto di riferimento d’eccellenza per la diagnosi e il trattamento delle patologie da sovraccarico funzionale. Il centro si distingue per un approccio integrato e personalizzato, capace di accompagnare ogni paziente lungo un percorso completo: dalla valutazione iniziale alla terapia conservativa, fino – quando necessario – all’intervento chirurgico mini-invasivo.

In Humanitas Gradenigo, il lavoro manuale – in tutte le sue forme – non è visto come un nemico, ma come una sfida da affrontare con competenza e sensibilità. Le mani stanche, doloranti e compromesse trovano uno spazio di ascolto e cura, dove la scienza incontra l’esperienza e la tecnologia più avanzata si unisce a una profonda comprensione della fatica del vivere. Perché proteggere la mano significa, in fondo, prendersi cura di tutto ciò che essa ci permette di fare: lavorare, creare, accarezzare, comunicare e vivere in tutte le sue sfumature.

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