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Noduli tiroidei: valutazione, diagnosi e quando preoccuparsi

Sono formazioni molto diffuse che spesso non danno sintomi e nella maggior parte dei casi rimangono benigne. Possono variare per dimensioni e composizione, talvolta diventando autonomamente funzionanti e causando alterazioni ormonali. Grazie all’ecografia e se necessario all’agoaspirato, è possibile identificare con precisione la loro natura, mentre la gestione spazia dalla sorveglianza periodica a trattamenti mirati, garantendo sicurezza e tutela della funzione tiroidea.

La patologia nodulare tiroidea è una delle condizioni endocrine più diffuse nella popolazione generale, con una prevalenza particolarmente elevata nel sesso femminile. Dopo i cinquant’anni, circa una donna su due presenta almeno un nodulo tiroideo, spesso senza manifestare alcun sintomo evidente. Negli uomini, la frequenza è decisamente più bassa, stimata tra il 5% e il 10%, ma anche in questo caso tende a crescere con l’avanzare dell’età. La comparsa di noduli in età pediatrica o giovanile è rara, sebbene non impossibile, e richiede un’attenzione clinica più mirata.

Nonostante la loro diffusione, la maggior parte dei noduli tiroidei è di natura benigna: secondo le stime epidemiologiche, solo una piccola percentuale, tra il 3% e il 5%, presenta caratteristiche di malignità, mentre il restante 95% costituisce formazioni che non comportano rischi oncologici. Questa alta prevalenza di noduli innocui spiega perché spesso vengano scoperti in maniera casuale, durante esami ecografici o controlli di routine, senza che il paziente avverta alcun disturbo.

Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Barbara Puligheddu, specialista in Endocrinologia dell’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino.

Perché si formano i noduli tiroidei?

La comparsa dei noduli tiroidei è strettamente connessa alla struttura stessa della ghiandola. La tiroide è composta da migliaia di piccoli follicoli, ciascuno dei quali agisce come un serbatoio microscopico in cui vengono prodotti e immagazzinati gli ormoni tiroidei. Quando alcuni di questi follicoli subiscono modificazioni strutturali o aumentano di volume, possono dare origine a noduli.

Dal punto di vista morfologico, i noduli presentano caratteristiche diverse. Alcuni sono solidi, costituiti dal normale tessuto tiroideo, mentre altri sono cistici e contengono liquido o, talvolta, sangue e materiale degenerativo. Queste differenze strutturali rappresentano informazioni fondamentali per il medico, contribuendo a orientare la valutazione diagnostica e a decidere il percorso più appropriato di monitoraggio o trattamento.

Quali sono i sintomi?

Nelle fasi iniziali, i noduli tiroidei sono spesso completamente asintomatici. Si tratta di formazioni così piccole da non poter essere percepite né alla palpazione né alla vista e vengono scoperte solo grazie all’ecografia. Solo in rari casi, quando un nodulo cresce rapidamente o sanguina, può comparire un rigonfiamento visibile a livello del collo. Questo evento, sebbene preoccupante per chi lo nota, non indica quasi mai una situazione di emergenza.

È importante ricordare che la funzionalità della tiroide e la presenza di noduli non coincidono necessariamente. Una ghiandola può produrre ormoni in modo perfettamente regolare pur ospitando noduli, così come possono verificarsi alterazioni della funzione tiroidea, come ipotiroidismo o ipertiroidismo, senza la comparsa di lesioni nodulari.

Una categoria particolare è costituita dai noduli tossici, cioè quelli che iniziano a produrre ormoni tiroidei in eccesso con parziale o totale inibizione del TSH, portandotalvolta a ipertiroidismo. In questi casi, possono comparire sintomi specifici come tachicardia, nervosismo, perdita di peso o intolleranza al caldo, segni che rendono necessario un approfondimento clinico immediato. Per questo motivo, la valutazione dei noduli non può limitarsi agli esami di funzionalità tiroidea, ma deve sempre integrare un’accurata analisi morfologica per fornire un quadro completo e affidabile.

Come si diagnosticano?

La diagnosi dei noduli tiroidei si fonda principalmente sull’ecografia, un esame non invasivo in grado di individuare anche le formazioni più piccole e di descriverne con precisione le caratteristiche. Grazie a questa indagine, il medico può valutare le dimensioni tridimensionali del nodulo, osservare la sua struttura interna, analizzare la forma dei margini, verificare la presenza di eventuali calcificazioni e monitorare il flusso sanguigno al suo interno. In passato si riteneva che un’elevata vascolarizzazione fosse indicativa di malignità, ma oggi sappiamo che tutti i noduli tiroidei presentano un certo grado di flusso, per cui questo parametro da solo non costituisce più un criterio di sospetto.

Le informazioni raccolte dall’ecografia, integrate con i dati clinici e gli esami di laboratorio, permettono di classificare i noduli secondo sistemi standardizzati di rischio, dalla categoria più sicura a quella più allarmante, e di definire così il percorso diagnostico e terapeutico più appropriato.

Quando i noduli sono di piccole dimensioni e privi di caratteristiche sospette, l’approccio consiste nella sorveglianza ecografica periodica, generalmente annuale, per controllarne l’evoluzione nel tempo. Se invece il nodulo mostra una crescita significativa o manifesta caratteristiche che richiedono maggiore attenzione, si ricorre all’agoaspirato, una procedura minimamente invasiva che consente di prelevare alcune cellule per l’analisi citologica. Questo esame offre indicazioni precise sulla natura del nodulo, distinguendo tra lesioni benigne e sospette o maligne, e permette di impostare un percorso di monitoraggio o trattamento mirato, evitando interventi inutili e concentrando le risorse cliniche sui casi che realmente lo richiedono.

Come si trattano i noduli tiroidei?

La gestione dei noduli tiroidei segue oggi un approccio graduale e personalizzato, che tiene conto della natura del nodulo, delle sue dimensioni, della presenza di sintomi e dei risultati citologici. Nella maggior parte dei casi, quando i noduli sono piccoli, stabili e del tutto asintomatici, l’atteggiamento più appropriato è la sorveglianza attiva: attraverso controlli ecografici periodici, il medico può monitorarne l’evoluzione nel tempo, distinguendo quelli che rimangono innocui da quelli che potrebbero richiedere un intervento in futuro. Questo evita procedure invasive inutili e consente di osservare con attenzione i noduli senza esporre il paziente a rischi non necessari.

Quando il nodulo aumenta di dimensioni o comincia a provocare fastidio, compressione delle strutture circostanti o disagio estetico, si ricorre a tecniche minimamente invasive in grado di ridurre il volume nodulare senza ricorrere a un intervento chirurgico tradizionale. La termoablazione, che sfrutta radiofrequenza o microonde, induce una necrosi controllata del tessuto nodulare, determinandone una riduzione progressiva. Nei noduli cistici, invece, si può utilizzare l’alcolizzazione, una procedura che provoca il collasso delle pareti della cisti e la scomparsa della cavità interna. Entrambe le tecniche permettono di trattare efficacemente il nodulo, limitando al minimo il disagio per il paziente e preservando la funzione tiroidea.

I noduli iperfunzionanti, capaci di produrre ormoni tiroidei in maniera autonoma, richiedono invece un approccio diverso. In questi casi il trattamento di prima scelta può essere la terapia radiometabolica con iodio radioattivo che sfrutta l’assorbimento selettivo dell’isotopo da parte del tessuto nodulare iperattivo, portando a una normalizzazione della funzione tiroidea. In alcune situazioni selezionate, e in base alla valutazione clinica, possono essere considerati farmaci antitiroidei o interventi chirurgici mirati.

Nei rari casi di noduli maligni, come i carcinomi tiroidei, l’approccio terapeutico viene modulato sulla base dell’istotipo, delle dimensioni del tumore, del grado di aggressività e della presenza di eventuali metastasi linfonodali. I microcarcinomi papillari di piccole dimensioni, privi di segni di aggressività, possono essere seguiti con sorveglianza attiva, mentre i tumori più voluminosi o a rischio oncologico aumentato richiedono interventi chirurgici, che possono prevedere la rimozione di un lobo o dell’intera tiroide, a seconda della distribuzione dei noduli e dei risultati citologici. In questo modo, la strategia terapeutica si sviluppa per gradi, concentrando le procedure più invasive solo sui casi che lo richiedono realmente, garantendo al contempo sicurezza ed efficacia nella gestione della patologia nodulare tiroidea.

Un ambulatorio dedicato

L’Endocrinologia e Metabolismo dell’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino rappresenta un centro di riferimento per la diagnosi e la gestione dei noduli tiroidei, offrendo percorsi altamente specializzati e personalizzati. L’équipe multidisciplinare, composta da endocrinologi, radiologi e specialisti del metabolismo, guida il paziente in ogni fase del percorso, dalla valutazione iniziale fino al monitoraggio a lungo termine.

All’interno dell’ambulatorio, i pazienti possono accedere a ecografie di alta precisione, indispensabili per identificare noduli di ogni dimensione e valutarne le caratteristiche morfologiche. Quando necessario, vengono eseguiti approfondimenti citologici tramite agoaspirato, mentre i noduli benigni vengono seguiti con sorveglianza periodica. Grazie a questo approccio integrato, il centro garantisce una gestione sicura ed efficace dei noduli tiroidei, preservando la funzione della tiroide e permettendo al paziente di affrontare la condizione con maggiore consapevolezza e tranquillità.

Endocrinologia E Malattie Del Ricambio
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