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L’andropausa esiste? Ecco quello che bisogna sapere

L’invecchiamento ormonale maschile non è un evento brusco né universale come la menopausa femminile. È piuttosto un percorso lento, con variazioni individuali, e spesso silenzioso, che può manifestarsi in modi clinicamente rilevanti in una parte della popolazione maschile.

L’invecchiamento è un processo naturale, che comporta una serie di trasformazioni profonde e inevitabili nel corpo umano. Nello specifico, quando si parla di alterazioni ormonali legate all’età, l’attenzione si concentra quasi esclusivamente sulla menopausa femminile: un passaggio biologico ben definito, accompagnato da una brusca e riconoscibile riduzione della produzione di estrogeni. Ma cosa succede agli uomini con l’avanzare dell’età? Esiste davvero l’andropausa? E se sì, in cosa consiste?

Approfondiamo l’argomento con il professor Fabio Lanfranco, direttore della S.C.D.U. Endocrinologia, Andrologia e Metabolismo di Humanitas Gradenigo di Torino.

Esiste un equivalente maschile della menopausa?

Nel dibattito medico e scientifico, il termine andropausa viene spesso utilizzato per descrivere i cambiamenti ormonali che l’uomo sperimenta con l’età. Tuttavia, è importante chiarire che la definizione di andropausa non corrisponde a un evento biologico netto e inevitabile come la menopausa femminile, che rappresenta invece una tappa precisa: l’interruzione definitiva della funzione ovarica e della produzione di ormoni sessuali, in particolare gli estrogeni. Questo cambiamento avviene in modo relativamente rapido, intorno ai 50 anni, e ha conseguenze fisiologiche marcate e spesso riconoscibili.

Nell’uomo, invece, non esiste un punto di svolta simile. I testicoli – le ghiandole deputate alla produzione di testosterone e spermatozoi – non cessano improvvisamente la loro attività. Al contrario, si assiste a un declino graduale e progressivo della funzione testicolare, che comincia già attorno ai 30-40 anni, anche se in modo silenzioso e poco percepibile.

La produzione di testosterone, l’ormone sessuale maschile per eccellenza, si riduce mediamente dell’1% all’anno a partire da quell’età. Questo calo è così graduale che i livelli ormonali rimangono generalmente entro i parametri fisiologici fino a età molto avanzate: nella maggior parte degli uomini, i valori restano sufficienti anche fino agli 80 o 90 anni, senza mai raggiungere soglie tali da determinare sintomi clinicamente rilevanti.

Cos’è l’andropausa?

Detto ciò, in una percentuale che può raggiungere il 25% della popolazione maschile – in particolare negli uomini con patologie croniche, stile di vita sedentario, obesità o sottoposti a stress prolungato – il calo dei livelli di testosterone può essere più accentuato rispetto alla media. In questi casi, la riduzione ormonale non rimane silenziosa e fisiologica, ma si associa a sintomi ben riconoscibili.

Questa condizione viene definita ipogonadismo a insorgenza tardiva e rappresenta una situazione clinica distinta dal normale processo di invecchiamento. Si tratta di una vera e propria sindrome caratterizzata da una ridotta attività delle gonadi – cioè dei testicoli – che comporta una produzione insufficiente di testosterone. Il termine ipogonadismo descrive quindi una carenza ormonale legata a un’insufficiente funzione testicolare, mentre la specifica “a insorgenza tardiva” serve a differenziare questa forma da quelle congenite o precoci, sottolineando che l’esordio avviene in età adulta, più frequentemente dopo i 60 anni.

Nei testi scientifici, quella che nel linguaggio comune viene spesso definita “andropausa” – per analogia con la menopausa femminile – corrisponde proprio a questa forma di ipogonadismo legato all’invecchiamento. Negli ultimi anni, però, è emerso anche il concetto di ipogonadismo funzionale, un’espressione più recente e complessa che riflette la natura spesso non patologica di questa condizione. Il termine “funzionale” indica infatti che la ridotta produzione di testosterone non è causata da una malattia strutturale dei testicoli o del sistema endocrino, ma piuttosto da fattori reversibili o legati allo stile di vita, come l’accumulo di grasso viscerale, il diabete, la sindrome metabolica, l’infiammazione cronica di basso grado o l’invecchiamento stesso.

Quali sono i sintomi dell’andropausa?

Quando raggiunge livelli significativi, il calo del testosterone può dare origine a una serie di sintomi e disturbi che, per certi versi, ricordano quelli tipici della menopausa femminile. Tra i più comuni ci sono una stanchezza persistente e una generale perdita di vitalità, accompagnate spesso da sbalzi d’umore, irritabilità e una sensazione di fragilità emotiva. Si osservano anche alterazioni della composizione corporea, con un progressivo aumento della massa grassa – soprattutto a livello addominale – e una riduzione della massa muscolare, che può compromettere forza fisica e tono muscolare.

Sul piano sessuale, invece, non è raro che si manifestino disfunzioni erettili, calo del desiderio e una ridotta soddisfazione generale nella sfera intima, che possono incidere profondamente sull’autostima e sulle relazioni affettive. Anche le funzioni cognitive possono risultare alterate: difficoltà di concentrazione, rallentamento nei processi mentali, disturbi della memoria a breve termine e una generale sensazione di “mente annebbiata” sono lamentele frequenti.

In alcuni uomini si riscontrano anche vampate di calore e sudorazioni improvvise, sintomi classicamente associati alla menopausa femminile. Queste manifestazioni vasomotorie, seppur meno frequenti nel sesso maschile, possono essere presenti nei casi più marcati di carenza androgenica.

Come si trattano i sintomi?

Nelle donne, quando la sintomatologia legata alla menopausa diventa particolarmente evidente e impattante, una delle opzioni terapeutiche disponibili è la terapia ormonale sostitutiva (TOS), basata sulla somministrazione di estrogeni (e, in alcuni casi, progestinici). Per gli uomini esiste un’analoga possibilità terapeutica, basata sulla somministrazione di testosterone. Tuttavia, l’uso di questa terapia sostitutiva presenta alcune precise indicazioni: non può e non deve essere prescritta sulla base di semplici sensazioni di stanchezza o calo di energia.

Affinché il trattamento sia appropriato, è necessario che siano presenti due condizioni fondamentali:

  • livelli di testosterone stabilmente bassi, confermati da esami del sangue ripetuti in almeno due occasioni diverse;
  • presenza di sintomi clinici compatibili con una carenza androgenica, come affaticamento, perdita di massa muscolare, calo della libido, disfunzione erettile, disturbi dell’umore o difficoltà cognitive.

Negli anni ’90 e nei primi anni 2000, si è assistito a un uso eccessivo e spesso improprio del testosterone, soprattutto tra uomini di mezza età o anziani, talvolta senza una reale diagnosi medica. Questo ha alimentato l’idea del testosterone come una sorta di “elisir anti-età”, da assumere per sentirsi più giovani, energici e virili. In realtà, in assenza di una vera carenza ormonale, l’uso di testosterone può comportare più rischi che benefici: in questi casi, si tratta di una forma di doping, non di una terapia, e può esporre l’organismo a effetti collaterali anche gravi, come disturbi cardiovascolari, problemi epatici, infertilità o alterazioni della prostata.

Per questo motivo, la terapia sostitutiva con testosterone deve sempre essere prescritta e monitorata da uno specialista – in genere un endocrinologo, un andrologo o un urologo – e riservata a quei pazienti che soddisfano i criteri diagnostici di ipogonadismo. In questi casi, la terapia può effettivamente migliorare la qualità della vita, ripristinando i livelli ormonali e alleviando i sintomi legati alla carenza. È lo stesso principio che si applica anche a uomini più giovani con ipogonadismo patologico di origine congenita o acquisita: il trattamento serve a riportare il corpo a una condizione di equilibrio, non a potenziarlo oltre i suoi limiti fisiologici.

Come si assume il testosterone?

La terapia sostitutiva con testosterone può essere somministrata attraverso diverse modalità, selezionate in base alle esigenze individuali e alle caratteristiche cliniche del paziente. Una delle opzioni più utilizzate è rappresentata dai gel transdermici, che vengono applicati quotidianamente sulla pelle, di solito al mattino. Questo tipo di somministrazione è considerato particolarmente fisiologico, perché ricalca l’andamento naturale della produzione ormonale maschile, più intensa nelle prime ore della giornata per poi diminuire gradualmente. Applicando il gel al risveglio, si riesce a imitare questo ritmo circadiano, garantendo un rilascio costante e controllato dell’ormone nel sangue.

In alternativa, il testosterone può essere somministrato tramite iniezioni intramuscolari. Le formulazioni più moderne e comunemente utilizzate prevedono un’iniezione ogni tre mesi: si tratta di preparati a lunga durata di azione che assicurano livelli ematici stabili e fisiologici di testosterone per circa dodici settimane, con il vantaggio di ridurre la frequenza delle somministrazioni a sole quattro volte l’anno.

Esistono anche formulazioni iniettabili più datate che richiedono somministrazioni ogni 15, 21 o 30 giorni. Sebbene ancora presenti nel prontuario farmaceutico e legalmente prescrivibili, queste versioni sono considerate meno fisiologiche, perché tendono a determinare fluttuazioni significative nei livelli ormonali: si verificano picchi elevati subito dopo l’iniezione, seguiti da un calo progressivo che può compromettere la stabilità del trattamento e la continuità dei benefici percepiti.

Assumere testosterone è pericoloso?

Se assunta sotto controllo medico, la terapia sostitutiva con testosterone è sicura. Il testosterone somministrato non è un ormone “estraneo” al corpo: serve semplicemente a riportare l’organismo a livelli ormonali che sarebbero normalmente presenti anche in età avanzata, se non ci fosse il deficit. Se un uomo anziano non presentasse ipogonadismo, continuerebbe a produrre naturalmente quantità di testosterone considerate fisiologiche, anche a 70 o 80 anni. La terapia, quindi, non introduce un eccesso ormonale, ma colma una carenza, ristabilendo un equilibrio interno.

Anche la scelta tra gel transdermici e iniezioni intramuscolari rientra in questa logica personalizzata. Nei casi di calo di testosterone legato all’età si tende a preferire i gel, in quanto garantiscono livelli ormonali fisiologici ma contenuti, mantenendosi solitamente nella fascia bassa del range normale, che è proprio quella tipica dell’uomo anziano. Al contrario, nelle forme di ipogonadismo che interessano uomini più giovani, si fa un uso più frequente delle iniezioni intramuscolari, in grado di assicurare livelli di testosterone più elevati (ma sempre entro i limiti della norma), come avviene naturalmente negli uomini in età fertile. Quindi, anche l’età rappresenta un criterio importante nella scelta della formulazione.

Riguardo alla sicurezza della terapia, un timore piuttosto diffuso – paragonabile a quello che riguarda gli estrogeni nella donna e il rischio di tumore al seno – è quello relativo alla possibile correlazione tra testosterone e tumore alla prostata. È importante rassicurare su questo punto: numerosi studi hanno dimostrato che il testosterone, somministrato in maniera corretta e sotto controllo medico, non provoca l’insorgenza del tumore prostatico. Se così fosse, tutti gli uomini – che fisiologicamente producono testosterone per tutta la vita – svilupperebbero il carcinoma prostatico. La realtà è un’altra: il testosterone non fa comparire il tumore alla prostata, ma nel caso in cui un tumore prostatico sia già presente la terapia ormonale sostitutiva va sospesa, perché può stimolarne la crescita.

Infatti, la maggior parte dei tumori della prostata sono ormono-dipendenti: si sviluppano e progrediscono sotto l’influenza del testosterone. Tanto è vero che, nei casi di tumore prostatico avanzato, uno dei trattamenti più comuni è proprio la cosiddetta castrazione farmacologica, ovvero l’uso di farmaci che bloccano completamente la produzione di testosterone per rallentare la malattia. Quindi, in un uomo con carenza di testosterone che sviluppa un tumore alla prostata, la terapia sostitutiva non va iniziata o va sospesa immediatamente.

Neppure la presenza di un’ipertrofia prostatica benigna – cioè l’ingrossamento fisiologico della prostata che si verifica con l’avanzare dell’età – rappresenta una controindicazione assoluta all’inizio della terapia sostitutiva con testosterone, se questa risulta necessaria. Tuttavia, è importante sapere che in questi casi il trattamento richiede una sorveglianza clinica più attenta, in particolare per quanto riguarda i sintomi urinari.

Può accadere che, in alcuni soggetti predisposti, l’assunzione di testosterone possa favorire un ulteriore aumento del volume prostatico, con la comparsa o l’aggravarsi di disturbi come la necessità di urinare più frequentemente, la difficoltà ad avviare o mantenere il flusso urinario oppure una sensazione di svuotamento incompleto della vescica. Questi segnali vanno monitorati attentamente: se i sintomi urinari peggiorano sensibilmente, lo specialista può valutare di modificare il dosaggio o, in rari casi, interrompere temporaneamente o definitivamente il trattamento.

Quando rivolgersi a uno specialista?

Il consiglio più importante resta quello di non ignorare i segnali del corpo: superata una certa età, se un uomo inizia ad avvertire sintomi sospetti – che si tratti di affaticamento persistente, calo del desiderio sessuale, disfunzione erettile, difficoltà cognitive o cambiamenti dell’umore – è opportuno consultare uno specialista. Anzi, una visita andrologica dovrebbe entrare a far parte della normale routine di prevenzione e salute, così come da tempo avviene per le donne con le visite ginecologiche. Purtroppo, però, molti uomini tendono ancora a rimandare o evitare questi controlli, spesso per timidezza o reticenza culturale. Eppure, prendersi cura della propria salute ormonale e sessuale è parte integrante del benessere generale, a ogni età.

Il primo passo per indagare un’eventuale carenza ormonale è misurare i livelli di testosterone totale nel sangue, esame semplice ma fondamentale per orientare la diagnosi. Ma per una valutazione più completa e accurata, si ricorre spesso a un quadro ormonale più articolato. Uno degli ormoni chiave da analizzare è l’LH (ormone luteinizzante), prodotto dall’ipofisi, che ha il compito di stimolare i testicoli a produrre testosterone. Conoscere il livello di LH aiuta a capire la causa della carenza ormonale: ad esempio, un LH elevato associato a testosterone basso può indicare un malfunzionamento primario dei testicoli, mentre un LH normale o basso in presenza di testosterone carente suggerisce un’origine più centrale, a livello ipotalamo-ipofisario, come avviene spesso nelle forme legate all’invecchiamento, dette appunto funzionali.

In alcuni casi può essere utile anche misurare la prolattina, per escludere altre patologie dell’ipofisi che possono interferire con la produzione di testosterone. Ma l’analisi ormonale non basta: un approccio completo prevede anche la valutazione del profilo metabolico, perché la carenza di testosterone è strettamente collegata ad alterazioni come glicemia elevata, colesterolo alto, aumento dei trigliceridi e, più in generale, a un aumento del rischio cardiovascolare.

Infatti, livelli bassi di testosterone, soprattutto se persistenti, favoriscono l’insorgenza del diabete di tipo 2 e dell’ipercolesterolemia, contribuendo ad aggravare un quadro clinico già spesso complesso nell’uomo anziano. In altre parole, il deficit di testosterone rappresenta di per sé un fattore di rischio cardiovascolare, al pari del fumo, dell’ipertensione o dell’obesità. Non si tratta solo di un problema “ormonale” o sessuale: il suo impatto è sistemico.

Un altro effetto spesso sottovalutato della carenza di testosterone è la perdita di massa ossea, con un conseguente aumento del rischio di osteoporosi. Sebbene questa condizione sia più frequente nelle donne dopo la menopausa, anche gli uomini possono svilupparla, soprattutto se il testosterone scende sotto i livelli fisiologici. In questi casi, la terapia sostitutiva con testosterone può giocare un ruolo importante nel prevenire la fragilità ossea o rallentare la progressione dell’osteoporosi.

Serve un centro specializzato

Affidarsi a uno specialista è il primo passo fondamentale per affrontare con consapevolezza i cambiamenti che l’età porta con sé. Un consulto medico non serve solo a confermare o meno la presenza di un deficit di testosterone, ma offre una valutazione clinica completa, capace di cogliere l’insieme degli aspetti metabolici, ormonali e cardiovascolari che entrano in gioco. L’approccio, oggi sempre più definito “olistico”, non si limita a ripristinare i livelli ormonali, ma mira a prendersi cura della persona nella sua globalità: si indaga lo stato della salute ossea, si valutano la glicemia e il profilo lipidico, si stimano i fattori di rischio cardiovascolare, così da impostare un piano di cura davvero su misura.

Presso la S.C.D.U. Endocrinologia, Andrologia e Metabolismo dell’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino, il paziente viene accompagnato in tutte le fasi del percorso, dalla diagnosi approfondita fino all’eventuale trattamento, seguendolo anche nel tempo con controlli periodici per adattare la terapia alle sue esigenze evolutive.

Peraltro, i dati disponibili in letteratura confermano che questo tipo di disturbo è tutt’altro che raro. Se prendiamo in considerazione l’ipogonadismo a insorgenza tardiva, la prevalenza negli uomini tra i 70 e gli 80 anni si attesta intorno al 5% della popolazione, ma parliamo di casi in cui il calo di testosterone è associato a sintomi clinicamente rilevanti. Se invece si considera solo il deficit ormonale, anche in assenza di sintomi evidenti, la percentuale sale drasticamente: interessa circa il 20% degli uomini oltre i 60 anni e può arrivare fino al 30–50% degli uomini con più di 80 anni. Dati ancora più estesi, che includono le fasce dai 60 anni in su, parlano di una prevalenza potenziale di andropausa fino al 25%, ovvero un uomo su quattro in età avanzata.

Queste cifre, già di per sé significative, assumono un peso ancora maggiore se le collochiamo nel contesto dell’invecchiamento demografico globale. In molti paesi – non solo in Occidente, ma anche in Asia e Sud America – la popolazione ultrasessantenne è in continuo aumento, e con essa il numero di uomini affetti da andropausa. Il risultato è un impatto crescente non solo sulla salute individuale, ma anche su quella pubblica, con ricadute di rilievo sia economiche che sanitarie.

La buona notizia è che si tratta di una condizione che, se diagnosticata correttamente, può essere trattata efficacemente. In assenza di controindicazioni specifiche, il deficit di testosterone può essere corretto, contribuendo a migliorare non solo i sintomi ma anche la qualità della vita e la prevenzione di complicanze più sistemiche, come i problemi cardiovascolari o l’osteoporosi.

Endocrinologia e Malattie Del Ricambio; Master di II livello in Andrologia.
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