COME TI POSSIAMO AIUTARE?

Prenotazioni
011.1910.1010
Centralino
011.1910.1001

L’osteoporosi colpisce anche la mano: quando l’osso si fa fragile

La fragilità ossea può interessare anche le mani e i polsi, dove spesso si manifesta con una frattura banale che nasconde un’alterazione più profonda della qualità scheletrica. Riconoscere precocemente questi segnali consente di intervenire in modo mirato, prevenendo complicanze e proteggendo l’autonomia quotidiana.

Quando si parla di osteoporosi, il pensiero corre subito a femore, bacino e colonna vertebrale, le sedi in cui le fratture da fragilità sono più conosciute e temute. Tuttavia, l’osteoporosi è una malattia sistemica che può coinvolgere qualsiasi segmento osseo del corpo, incluse le strutture più piccole e meno considerate, come mani e polsi. Non di rado, è proprio a questo livello che si manifesta il primo campanello di allarme: una frattura del polso, spesso in seguito a una caduta banale, può rappresentare la prima evidenza clinica di un osso già compromesso nella sua architettura interna. Riconoscere il problema in fase iniziale permette di intervenire in modo mirato, evitando che una condizione silenziosa comprometta nel tempo l’autonomia e la qualità di vita.

Approfondiamo l’argomento con il dottor Giorgio Matteo Berto, responsabile del Centro di Chirurgia e terapia della Mano di Humanitas Gradenigo di Torino.

Le mani possono essere colpite dall’osteoporosi?

Sebbene nell’immaginario collettivo l’osteoporosi sia associata a strutture più grandi come la colonna vertebrale o il femore, anche le mani – e in particolare i polsi – possono essere coinvolti da questa condizione. La riduzione della densità minerale ossea interessa l’intero scheletro e rende fragili anche le ossa più piccole e articolate, come quelle della mano. Quando il tessuto osseo perde compattezza e resistenza, anche traumi minimi – come una caduta a terra durante una passeggiata o un inciampo domestico – possono causare una frattura.

Il polso è uno dei punti più vulnerabili. La frattura del radio distale, infatti, è una delle lesioni traumatiche più frequenti negli anziani, soprattutto nelle donne dopo la menopausa. È così frequente da essere definita dagli specialisti una “frattura sentinella”, perché rappresenta un segnale iniziale e significativo di un’osteoporosi non ancora diagnosticata.

Purtroppo, questa frattura viene spesso gestita come un episodio isolato, trattata con un semplice gesso o, nei casi più gravi, con un intervento chirurgico, senza approfondire la causa sottostante. Questo è un errore comune e potenzialmente rischioso: non indagare la salute scheletrica del paziente dopo una frattura da fragilità significa perdere un’importante occasione di diagnosi precoce e prevenzione. Intervenire tempestivamente sull’osteoporosi, anche quando si manifesta per la prima volta a livello del polso, consente invece di ridurre il rischio di fratture future – che potrebbero interessare strutture molto più delicate, come le vertebre o il femore – e di impostare un percorso terapeutico completo e mirato.

Quali sono i soggetti più a rischio?

L’osteoporosi è una condizione che può colpire chiunque, ma non tutti hanno lo stesso livello di rischio. Le donne, in particolare dopo la menopausa, sono le più vulnerabili: la brusca diminuzione degli estrogeni che avviene in questa fase della vita accelera la perdita di massa ossea, rendendo lo scheletro più fragile e soggetto a fratture. Tuttavia, anche gli uomini non sono immuni. Con l’avanzare dell’età, anche nel sesso maschile si osserva un progressivo indebolimento osseo, spesso amplificato da fattori come sedentarietà, fumo, consumo eccessivo di alcol, diete povere di calcio e vitamina D o la presenza di malattie croniche, come diabete o patologie infiammatorie.

Ci sono poi altri elementi da considerare. La predisposizione genetica gioca un ruolo importante: avere parenti con diagnosi di osteoporosi o che abbiano subito fratture da fragilità aumenta significativamente il rischio individuale. Anche condizioni che comportano lunghi periodi di inattività o allettamento possono favorire la demineralizzazione ossea. Alcuni farmaci, come i corticosteroidi assunti per lunghi periodi, hanno un effetto diretto sulla densità dell’osso, contribuendo alla sua rarefazione.

L’età resta comunque il fattore più influente. Con il tempo, le cellule responsabili della rigenerazione ossea rallentano la loro attività. Il risultato è una progressiva perdita di densità e qualità dell’osso, che diventa più poroso e meno resistente agli urti. In questo contesto, il rischio di frattura aumenta anche a fronte di traumi banali, e il polso – spesso coinvolto nei tentativi di proteggersi durante una caduta – è tra le sedi più esposte.

L’osteoporosi è dolorosa?

L’osteoporosi è definita una “malattia silenziosa” perché non provoca sintomi fino al momento della frattura. Non ci sono dolori o segnali chiari che permettano di identificarla precocemente, se non attraverso esami specifici. Proprio per questo, molte persone scoprono di esserne affette solo dopo una frattura apparentemente sproporzionata rispetto al trauma subito.

Nel distretto delle mani e dei polsi, questo meccanismo si manifesta in modo analogo. Finché l’osso non si rompe, non c’è dolore né una percezione chiara della fragilità in corso. La frattura del radio distale – quella che interessa la parte finale dell’avambraccio, vicina al polso – è spesso il primo evento a far emergere la malattia.

Come si diagnostica l’osteoporosi della mano?

La diagnosi di osteoporosi si basa principalmente sulla densitometria ossea (nota anche come MOC, Mineralometria Ossea Computerizzata), un esame semplice e non invasivo che misura la densità minerale dell’osso. Le aree di riferimento più comunemente analizzate sono la colonna lombare e il femore prossimale, perché rappresentano i siti più sensibili alla perdita di massa ossea e al rischio di frattura. Tuttavia, un’alterazione della densità ossea in questi punti è indicativa di un rischio aumentato in tutto lo scheletro, inclusi segmenti apparentemente secondari.

Nel caso di una frattura del polso, è spesso la radiografia a fornire i primi indizi: l’osso appare più “trasparente” del normale, con un aspetto meno denso, segno di una demineralizzazione già in atto. Questa maggiore radiotrasparenza è una spia importante, ma purtroppo compare solo quando il processo osteoporotico è già avanzato. Quando l’osteoporosi è visibile a occhio nudo su un’immagine radiologica, significa che la perdita di densità ossea è significativa e prolungata nel tempo.

Come si trattano le fratture da osteoporosi della mano?

Il trattamento delle fratture osteoporotiche a carico della mano e del polso ha subito una profonda evoluzione negli ultimi anni, soprattutto grazie ai progressi della chirurgia ortopedica e della traumatologia. In passato, l’approccio conservativo era la norma: si ricorreva all’immobilizzazione prolungata con gesso, nella convinzione che l’età avanzata dei pazienti o la scarsa qualità ossea rappresentassero un limite per l’intervento chirurgico. Oggi, invece, si tende sempre più spesso a optare per soluzioni operatorie anche nei soggetti anziani o fragili, con l’obiettivo di garantire una guarigione più rapida ed efficace.

Le moderne tecniche chirurgiche permettono di stabilizzare in modo sicuro anche le ossa osteoporotiche, utilizzando dispositivi di sintesi di ultima generazione, come placche anatomiche e sistemi a stabilità angolare. Questi strumenti sono progettati per distribuire in modo più uniforme le forze meccaniche sull’osso indebolito, riducendo il rischio di cedimenti o spostamenti della frattura. In questo modo, si favorisce una stabilizzazione precoce e si riducono significativamente i tempi di immobilizzazione.

L’intervento viene eseguito nella maggior parte dei casi in anestesia locale, con accessi chirurgici mini-invasivi e in regime di day surgery: il paziente può rientrare a casa nella stessa giornata, senza necessità di ricovero prolungato. Questo approccio non solo riduce lo stress chirurgico e anestesiologico, ma consente anche un recupero più rapido delle funzioni motorie.

Fondamentale, sin dai primi giorni dopo l’operazione, è l’avvio di un programma riabilitativo mirato. Il lavoro dei terapisti della mano (fisioterapisti e terapisti occupazionali) è essenziale per recuperare la mobilità articolare, ridurre il dolore, mantenere la forza muscolare e prevenire le complicanze legate all’immobilità, come rigidità articolare e dolore.

Nei casi più complessi o nei pazienti con preesistenti difficoltà funzionali, il terapista occupazionale può suggerire l’utilizzo di ausili personalizzati e strategie adattive per facilitare le attività quotidiane e favorire un ritorno precoce all’autonomia.

Come si previene l’osteoporosi della mano?

Anche nelle ossa della mano e del polso, la prevenzione dell’osteoporosi si fonda su un insieme di strategie che coinvolgono lo stile di vita, la diagnosi precoce e, quando necessario, la terapia farmacologica.

Tutto parte da abitudini quotidiane corrette. Una dieta equilibrata, ricca di calcio (presente nei latticini, nelle verdure a foglia verde e in alcuni pesci come le sardine) e vitamina D (fondamentale per l’assorbimento del calcio e sintetizzata con l’esposizione solare), è il primo passo per sostenere la salute ossea. Anche l’attività fisica regolare, in particolare gli esercizi che stimolano il carico come camminare, salire le scale o utilizzare piccoli pesi, contribuisce a mantenere la densità minerale dello scheletro.

L’astensione dal fumo e un consumo moderato di alcol sono scelte altrettanto determinanti: entrambe le abitudini, infatti, accelerano il turnover osseo e riducono la capacità rigenerativa dell’organismo. Allo stesso tempo, un’esposizione responsabile alla luce solare (10-15 minuti al giorno nelle ore meno intense) aiuta a mantenere adeguati livelli di vitamina D, soprattutto nei mesi invernali o in soggetti anziani.

Dopo i 50 anni – o anche prima, in presenza di fattori di rischio come menopausa precoce, familiarità, terapie con cortisonici, malattie infiammatorie croniche o pregressi episodi di frattura – è opportuno eseguire un controllo della salute ossea attraverso la densitometria ossea (MOC). Questo esame non solo consente di misurare la densità minerale dell’osso, ma anche di individuare precocemente le situazioni a rischio che, se trascurate, potrebbero evolvere in fratture.

Nei pazienti con diagnosi accertata di osteoporosi o osteopenia, oppure che hanno già subito una frattura da fragilità, esistono trattamenti farmacologici efficaci in grado di rallentare il processo di demineralizzazione e di ridurre significativamente il rischio di nuovi eventi. Infine, la prevenzione non riguarda solo il mantenimento della massa ossea, ma anche la riduzione del rischio di cadute, che rappresentano spesso il fattore scatenante delle fratture. Avere ambienti domestici sicuri, utilizzare calzature stabili, mantenere una buona coordinazione motoria e allenare l’equilibrio sono strategie altrettanto importanti, soprattutto per gli anziani.

Il Centro di Chirurgia e Terapia della Mano di Humanitas Gradenigo

In Humanitas Gradenigo, il Centro di Chirurgia e Terapia della Mano rappresenta un punto di riferimento nazionale per la diagnosi e la cura delle patologie osteoarticolari e neurologiche della mano. Il modello di cura è basato su un approccio multidisciplinare, in cui chirurghi, fisioterapisti, terapisti occupazionali e specialisti del metabolismo osseo collaborano per offrire al paziente un percorso personalizzato e completo.

Il trattamento delle fratture da osteoporosi non si limita all’intervento chirurgico, ma comprende anche la valutazione delle cause alla base della fragilità ossea, la prevenzione di nuove fratture e la riabilitazione funzionale. Ogni passaggio è gestito in modo coordinato, con l’obiettivo di garantire il miglior recupero possibile, anche nei pazienti più fragili.

Ritrovare la forza nella mano significa molto più che guarire da una frattura: vuol dire recuperare sicurezza, autonomia e serenità nella vita quotidiana. In un centro dedicato come quello di Humanitas Gradenigo, tutto questo è possibile grazie a un’équipe altamente specializzata e a un percorso di cura costruito su misura per ogni persona.

Torna su