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Clamidia


Con il termine clamidia si fa riferimento a una malattia sessualmente trasmissibile. Il microrganismo responsabile dell’infezione è la Clamidia Trachomatis che si trasmette durante i rapporti sessuali o da madre in figlio.

La malattia che insorge a seguito dell’infezione è generalmente asintomatica, ma talvolta può provocare irritazione a livello vaginale, bruciori, irritazione durante la minzione e perdite ematiche vaginali. 

Se non trattata, l’infezione può estendersi anche alle tube e alle ovaie, causando sintomi più evidenti quali diarrea, dolori addominali, febbre, nausea, nonché una diminuzione della funzione degli organi riproduttivi, con rischio di infertilità.

La clamidia, insieme alla gonorrea e alla sifilide, è una delle malattie sessualmente trasmesse più diffuse al mondo proprio perché asintomatica e difficile da rilevare nei primi stadi. Per tale ragione, consigliamo di rivolgersi subito a un medico se si presentano sintomi anomali.

Quali sono le caratteristiche della clamidia?

La clamidia è una malattia sessualmente trasmissibile altamente diffusa, provocata dall’infezione da Chlamydia trachomatis. Le donne tra i 20 e i 24 anni sono le più colpite, ma si può manifestare anche in soggetti di sesso maschile attraverso rapporti sessuali non protetti, siano essi di natura vaginale, anale od orale, oppure può essere trasmessa dalla madre al bambino al momento del parto, con il rischio che il neonato accusi anche polmonite e congiuntivite.

Quali sono le cause scatenanti?

La causa alla base della clamidia è l’infezione da Chlamydia trachomatis, che si contrae attraverso i rapporti sessuali non protetti o per via materno-fetale.

Quali sono i sintomi?

Seppur asintomatica nella maggior parte dei casi, la clamidia può manifestarsi con una sintomatologia lieve tra una e tre settimane dall’infezione che include:

  • dolore durante la minzione
  • arrossamento e macchia e livello genitale
  • dolori al basso ventre o sensazione di pesantezza
  • prurito intimo
  • bruciore
  • irritazione genitale e pubico
  • perdite di sangue dalla vagina 
  • dolore durante i rapporti (dispareunia)
  • dolore ai testicoli 
  • dolore a livello rettale
  • linfonodi inguinali ingrossati

Se vengono intaccate le tube e le ovaie, possono innescarsi processi infiammatori a loro carico quali idrosalpinge, ascesso tubarico, sindromi aderenziali. Ne consegue un aggravamento dei sintomi, solitamente caratterizzato da dolori addominali, febbre, diarrea, nausea. Infine, si assiste a una diminuzione della funzione degli organi riproduttivi, che aumenta il rischio di infertilità. 

Infine, un’altra complicazione legata alla clamidia è l’artrite reattiva. Data la natura asintomatica della malattia, si consiglia di rivolgersi a un medico non appena si notano sintomi anomali, anche se leggeri.

Come si previene la clamidia?

È possibile prevenire l’insorgenza della clamidia praticando una vita sessuale sicura. Ciò implica:

  • Una corretta igiene durante e dopo i rapporti;
  • Uso di contraccettivi a barriera.

Si consiglia di sottoporsi a controlli periodici specialmente se non si ha un partner fisso.

Come si ottiene una diagnosi?

La diagnosi della clamidia passa attraverso un test specifico, che può venire anche raccomandato se si sta cercando una gravidanza o in caso di un’infezione contratta dall’attuale o ex partner. Questo può essere effettuato tramite:

  • coltura delle urine, che consente di individuare la presenza del batterio.
  • tampone vaginale e cervicale, nel caso delle donne; 
  • tampone faringeo, uretrale o rettale.

Qual è la terapia da seguire?

Il trattamento per la clamidia prevede l’assunzione di antibiotici mirati quali: 

  • doxiciclina
  • azitromicina
  • eritromicina
  • amoxicillina

Il trattamento può prevedere un’unica dose giornaliera oppure necessitare di almeno 7-10 giorni di terapia nel caso di infezioni cronicizzate o più severe.

Grazie all’antibiotico si debella l’infezione, ma non si eliminano i danni d’organo creati dal microrganismo. Si ricorda che è opportuno evitare rapporti sessuali a rischio dal momento in cui viene effettuato il tampone fino a sette giorni dopo la conclusione del trattamento, al fine di evitare la trasmissione dell’infezione.

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